Quando i nipoti crescono e attraversano la fase dell’adolescenza, molti nonni si trovano spiazzati di fronte a ragazzi che sembrano improvvisamente diventati creature enigmatiche. Quello che funzionava con i bambini piccoli – i giochi, le coccole, le storie della buonanotte – non basta più. Il silenzio si fa più frequente, gli sguardi sfuggenti, e quelle conversazioni che un tempo fluivano naturalmente si riducono a monosillabi educati. Non si tratta di mancanza d’amore, ma di un’autentica difficoltà generazionale amplificata dal ruolo specifico che i nonni ricoprono.
La generazione dei nonni di oggi è cresciuta in un contesto culturale profondamente diverso, dove l’espressione delle emozioni, specialmente per gli uomini, veniva spesso considerata segno di debolezza e si privilegiavano controllo e disciplina. Il modello educativo del Novecento privilegiava il controllo emotivo, la fermezza, il “non piangi mica per queste sciocchezze”. I padri nati negli anni Quaranta e Cinquanta hanno ricevuto un’educazione più autoritaria e poco centrata sull’espressione emotiva, con effetti duraturi sul loro stile relazionale in età adulta.
Questo retaggio culturale crea una frattura invisibile ma tangibile: mentre gli adolescenti contemporanei sono sollecitati, in famiglia e a scuola, a esplorare e condividere le proprie emozioni e a sviluppare competenze socio-emotive, i nonni appartengono a una cultura del “fare” piuttosto che del “sentire”. Il risultato? Conversazioni che rimangono ancorate al pragmatico: “Come va a scuola?”, “Hai fame?”, “Serve qualcosa?”, pur all’interno di relazioni che, quando positive, possono rappresentare un importante fattore protettivo per il benessere dei ragazzi.
Il mondo interiore degli adolescenti: un universo da decifrare
Gli adolescenti vivono una vera e propria tempesta emotiva e neurologica. Le ricerche neuroscientifiche dimostrano che il cervello attraversa una profonda riorganizzazione durante l’adolescenza, con un’intensa rimodellazione sinaptica e una maturazione ancora incompleta della corteccia prefrontale, area coinvolta nel controllo degli impulsi e nella regolazione delle emozioni. Gli studi di neuroimaging indicano anche una maggiore reattività dei sistemi limbici, compresa l’amigdala, rispetto alle strutture prefrontali, il che contribuisce a una maggiore intensità emotiva e a una regolazione ancora instabile.
Il loro mondo interiore è popolato da insicurezze identitarie, pressioni sociali oggi amplificate anche dall’uso dei social media, paure esistenziali sul futuro, e un bisogno di autonomia che convive con la necessità di sentirsi accolti. Per un nonno cresciuto con codici comunicativi completamente differenti, tutto questo può apparire incomprensibile o persino eccessivo.
Superare la barriera del linguaggio emotivo
La chiave non sta nel cambiare personalità o fingere di essere qualcuno che non si è. L’autenticità rimane il fondamento di qualsiasi relazione significativa. Tuttavia, esistono strategie concrete per costruire ponti emotivi senza tradire se stessi.
La tecnica del racconto autobiografico selettivo
Invece di interrogare frontalmente i nipoti, condividere episodi personali della propria adolescenza può aprire canali di comunicazione inaspettati. Non si tratta di fare prediche moralistiche, ma di rivelare vulnerabilità autentiche: “Quando avevo la tua età , mi sentivo terribilmente insicuro perché…”. Questo approccio, che in psicologia viene descritto come self-disclosure calibrata, favorisce intimità e reciprocità nelle relazioni, creando uno spazio di condivisione autentica.
Riconoscere l’emozione prima di risolverla
Gli uomini della generazione dei nonni sono spesso orientati alla risoluzione pratica dei problemi. Se il nipote esprime disagio, l’istinto è fornire soluzioni immediate. Ma gli studi sulla regolazione emotiva in adolescenza indicano che la validazione delle emozioni da parte degli adulti di riferimento è associata a migliore adattamento psicologico, minore sintomatologia ansioso-depressiva e migliore capacità di regolazione. La frase “Capisco che per te sia difficile” detta con sincerità vale più di dieci consigli pratici. Solo dopo aver riconosciuto l’emozione si può eventualmente offrire supporto concreto.

Creare rituali di connessione alternativa
Non tutti i legami profondi passano attraverso lunghe conversazioni faccia a faccia. Molti adolescenti si aprono più facilmente durante attività condivise che non richiedono contatto visivo diretto. Le ricerche sul rapporto nonni-nipoti mostrano che il tempo trascorso insieme in attività quotidiane come gioco, passeggiate, compiti e piccole mansioni domestiche rafforza il legame e favorisce la percezione di vicinanza emotiva.
- Progetti manuali comuni: riparare qualcosa insieme, cucinare, lavorare nell’orto. Il fare fianco a fianco riduce la pressione comunicativa e favorisce confidenze spontanee.
- Passeggiate senza destinazione: camminare insieme senza meta precisa può facilitare una comunicazione più spontanea e meno formale. La condivisione di attività a bassa pressione è indicata come contesto favorevole al dialogo intergenerazionale.
Chiedere al nipote di spiegare qualcosa del suo mondo, come un videogioco o un artista musicale, dimostra interesse genuino e ribalta i ruoli tradizionali, aumentando il senso di competenza del ragazzo e la qualità dello scambio. Questa inversione di prospettiva permette ai giovani di sentirsi valorizzati e ascoltati, elementi fondamentali per costruire una relazione intergenerazionale solida.
L’ascolto come competenza da apprendere
Ascoltare profondamente è una capacità che si può coltivare a qualsiasi età . La ricerca sulla comunicazione intergenerazionale evidenzia che gli adulti più anziani, nelle conversazioni con i giovani, tendono spesso a prendere più turni di parola, a cambiare argomento e a riportare rapidamente il discorso su di sé, con il rischio di ridurre lo spazio espressivo dei più giovani. Esercitarsi nell’ascolto attivo significa fare pause prima di rispondere, contando mentalmente fino a tre, per evitare di sovrapporsi e lasciare spazio alla conclusione del pensiero dell’altro.
Porre domande aperte che non presuppongano risposte – “Cosa pensi di…” invece di “Non credi che…” – favorisce la narrazione personale e permette agli adolescenti di esprimersi liberamente. Altrettanto importante è resistere alla tentazione di minimizzare con frasi come “Ma sono cose da ragazzi” o di confrontare con “Ai miei tempi era peggio”, atteggiamenti che portano a una percezione di scarso riconoscimento da parte degli adolescenti.
Quando le parole non bastano: il linguaggio dell’affetto tangibile
Per i nonni che proprio non riescono a verbalizzare l’affetto, esistono linguaggi alternativi altrettanto potenti. Un bigliettino scritto a mano lasciato sul comodino, un piccolo oggetto che dimostra “ho pensato a te quando l’ho visto”, la preparazione del piatto preferito senza bisogno di annunciarlo. Questi gesti comunicano presenza e attenzione attraverso diversi canali: parole di affermazione, tempo di qualità , doni, servizi e contatto fisico.
Il messaggio implicito diventa: “Ti vedo, riconosco chi sei, occupi spazio nei miei pensieri”. Per un adolescente in cerca della propria identità , sentirsi visto e ricordato da figure familiari significative è associato a maggiore senso di sicurezza e appartenenza. La sfida per i nonni non è trasformarsi in confidenti alla moda, ma trovare la propria autentica via per dire: “Sono qui, e questo legame conta”. L’importante è mantenere aperto quel canale di comunicazione, anche quando sembra che i ragazzi si siano allontanati, perché spesso dietro il silenzio adolescenziale c’è comunque il bisogno di sapere che qualcuno resta disponibile, pronto ad accoglierli quando saranno pronti a condividere.
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