Mio figlio 24enne passa le giornate a casa senza far nulla: poi ho capito l’errore che stavo commettendo

Quando un figlio giovane adulto sembra aver perso la bussola, sospeso tra un percorso accademico abbandonato e un futuro professionale che non decolla, i genitori si trovano ad attraversare un territorio emotivo minato. La situazione è più comune di quanto si pensi: secondo i dati ISTAT del 2022, in Italia circa il 25% dei giovani tra i 20 e i 34 anni rientra nella categoria NEET (Not in Education, Employment or Training), con valori ancora più elevati nella fascia 25-29 anni, collocando stabilmente l’Italia tra i Paesi europei con le percentuali più alte di giovani che non studiano né lavorano.

Quello che rende questa fase particolarmente difficile non è solo la staticità del figlio, ma il senso di smarrimento che colpisce chi lo ha cresciuto. La preoccupazione si mescola al dubbio: dove abbiamo sbagliato? Cosa possiamo ancora fare? Come si comunica con un giovane adulto che non vuole essere aiutato?

Il confine sottile tra supporto e invadenza

A ventiquattro anni, tecnicamente siamo di fronte a un adulto. Eppure, numerosi studi di neuroimaging indicano che la maturazione completa delle aree prefrontali, coinvolte in pianificazione, controllo degli impulsi e decisioni complesse, prosegue fino a circa 25 anni. Questo significa che vostro figlio si trova in una zona grigia: non più adolescente, non ancora pienamente equipaggiato dal punto di vista neurobiologico per gestire decisioni complesse sotto stress, soprattutto se ci sono pressioni familiari, economiche o sociali.

La chiave sta nel ricalibrare il proprio ruolo genitoriale. Non si tratta più di guidare, ma di affiancare. Le ricerche sul rapporto genitori-giovani adulti indicano che uno stile genitoriale di supporto, che combina calore e promozione dell’autonomia, è associato a migliori esiti in termini di benessere psicologico e adattamento lavorativo dei figli.

Ogni intervento diretto (“Dovresti cercare lavoro”, “Perché non riprendi gli studi?”) viene facilmente percepito come un attacco alla propria autonomia, per quanto fragile essa sia. Il paradosso è che, proprio quando sembra respingervi, vostro figlio ha bisogno di sapere che ci siete, ma in modo diverso.

Decifrare l’apatia: cosa si nasconde dietro l’immobilismo

L’apatia raramente è semplice pigrizia. Spesso è un segnale di qualcosa di più profondo. In psicologia clinica si parla di evitamento e paralisi decisionale quando l’eccesso di opzioni e la paura delle conseguenze portano a un blocco nell’azione: è come trovarsi di fronte a mille porte chiuse senza avere le chiavi di nessuna.

La paura del fallimento amplificata gioca un ruolo centrale: aver abbandonato l’università può alimentare una narrazione interna del tipo “ho già fallito, fallirò ancora”. Gli studi sulla paura del fallimento mostrano che questa è associata a procrastinazione, ritiro e rinuncia agli obiettivi, soprattutto in giovani adulti. Ogni nuova iniziativa viene vissuta come un rischio inaccettabile.

Il confronto sociale paralizzante aggrava la situazione. L’uso intensivo dei social media è stato collegato a maggiori livelli di confronto sociale e a una riduzione del benessere soggettivo nei giovani adulti. Vedere coetanei apparentemente realizzati crea un divario percepito che schiaccia l’autoefficacia e alimenta la sensazione di essere rimasti indietro.

L’assenza di struttura completa il quadro. La mancanza di routine quotidiana è associata a peggiori esiti di salute mentale e maggiore rischio di depressione. Senza orari, scadenze o obblighi esterni, le giornate perdono forma e la mancanza di routine alimenta l’apatia in un circolo vizioso. Non va poi dimenticato il possibile disagio psicologico: depressione, ansia o disturbi dell’adattamento possono manifestarsi con ritiro sociale, perdita di interesse, mancanza di energia. Nei giovani adulti questi quadri possono esordire proprio con demotivazione e isolamento, più che con tristezza apertamente espressa.

Strategie concrete per rompere lo stallo

Spostare il focus dalla performance alla persona

Invece di parlare di curriculum e candidature, create occasioni di conversazione non finalizzata. Le ricerche sulle relazioni genitori-figli in adolescenza e giovane età adulta mostrano che un clima comunicativo aperto e non giudicante favorisce l’espressione dei vissuti interni e riduce il rischio di conflitti distruttivi.

Una passeggiata, un caffè fuori casa, un’attività condivisa che non abbia come obiettivo “discutere del futuro” possono aprire spazi in cui emergono paure e desideri senza la pressione della prestazione. Spesso è proprio in questi spazi apparentemente improduttivi che emergono le vere preoccupazioni e i desideri sepolti.

Proporre micro-obiettivi anziché rivoluzioni

La prospettiva di “trovare lavoro” o “iscriversi all’università” può sembrare un monte insormontabile. La psicologia motivazionale suggerisce che suddividere obiettivi complessi in sotto-obiettivi piccoli e gestibili aumenta il senso di autoefficacia e la probabilità di azione. I successi parziali e graduali rafforzano la percezione di autoefficacia e sostengono il cambiamento comportamentale.

Spezzare il percorso in azioni minime, come aggiornare il profilo LinkedIn, partecipare a un webinar gratuito su un tema di interesse o fare volontariato per poche ore alla settimana, consente di accumulare micro-successi che contrastano la narrativa del fallimento globale. Ogni piccolo passo ricostruisce il senso di autoefficacia.

Stabilire confini sani dentro casa

Supportare non significa permettere uno stallo indefinito senza nessuna richiesta di responsabilità. La letteratura sul funzionamento familiare indica che regole chiare, coerenza e coinvolgimento dei figli nelle responsabilità domestiche sono associati a migliori esiti di adattamento e a minori sintomi internalizzanti nei giovani.

È quindi legittimo e necessario stabilire alcune regole di convivenza: contribuire alle faccende domestiche, rispettare orari comuni, eventualmente partecipare alle spese in modo simbolico se ci sono piccole entrate. Questi paletti non sono punizioni, ma strutture che aiutano a mantenere un senso di responsabilità e appartenenza.

Introdurre gradualmente il tema professionale

Quando il clima è meno teso, può essere più produttivo esplorare non “che lavoro vuoi fare” ma domande come “cosa ti piaceva fare da bambino” o “quali sono le tre ore della settimana in cui ti senti meno annoiato”. Questo approccio è in linea con le teorie dell’orientamento vocazionale basate sugli interessi e sui valori personali, secondo cui la chiarezza sugli interessi intrinseci favorisce scelte più sostenibili nel tempo.

Ricostruire il filo degli interessi autentici può rivelare direzioni inaspettate, anche diverse dal percorso accademico abbandonato ma più coerenti con la sua natura profonda.

Quando è il momento di chiedere aiuto esterno

Se l’apatia si protrae per diversi mesi e si accompagna a disturbi del sonno, isolamento marcato, trascuratezza nell’igiene personale o espressioni di disperazione, le linee guida internazionali raccomandano una valutazione professionale. Un percorso psicologico non è un’ammissione di sconfitta, ma un investimento strategico.

La ricerca mostra che gli interventi psicoterapeutici, in particolare le terapie basate sull’evidenza come la terapia cognitivo-comportamentale, sono efficaci nel ridurre sintomi depressivi e ansiosi nei giovani adulti. Spesso il terapeuta diventa proprio quella figura esterna non giudicante che può aprire varchi comunicativi impossibili dentro le dinamiche familiari.

Cosa ti blocca di più nel fare il primo passo?
La paura di fallire ancora
Il confronto con gli altri
Non so cosa voglio davvero
La mancanza di energia
Mi sento già in ritardo

Anche per voi genitori un sostegno può essere prezioso: un counselor familiare o un gruppo di supporto vi aiuterà a gestire la frustrazione senza riversarla sul figlio, mantenendo lucidità nelle decisioni. Gli studi sugli interventi rivolti ai genitori di adolescenti e giovani adulti indicano che il lavoro con la famiglia può migliorare la qualità della relazione genitore-figlio e ridurre la sintomatologia del ragazzo.

Proteggere la relazione oltre l’emergenza

Ricordare che vostro figlio non è riducibile a questo momento di stallo è essenziale. Continuare a vedere in lui le qualità, i talenti e la complessità che vanno oltre la situazione attuale è fondamentale. La teoria dell’attaccamento mostra che la percezione che il caregiver mantenga uno sguardo fiducioso e accogliente, anche nei momenti di difficoltà, è un fattore protettivo per lo sviluppo della resilienza successiva.

Le persone tendono a interiorizzare lo sguardo con cui vengono viste: se vengono percepite solo come un problema, è più facile che costruiscano un’identità centrata sul fallimento; se vengono viste come persone in una difficoltà temporanea, aumenta la possibilità di attivare processi di cambiamento.

Questa fase, per quanto dolorosa, può diventare un’opportunità di ridefinizione dei ruoli familiari e di crescita reciproca. Numerosi studi longitudinali indicano che aver affrontato difficoltà e fallimenti in giovane età può, nel medio-lungo termine, essere associato a maggiore resilienza e capacità di affrontare le avversità, quando la persona percepisce di aver avuto supporto e di aver potuto dare un senso all’esperienza. Il vostro compito non è impedirgli ogni caduta, ma assicurarvi che sappia che può rialzarsi e che non sarà solo nel farlo.

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