Studio su 30 anni rivela quali madri hanno cresciuto gli adulti più equilibrati: la risposta ti sorprenderà e cambierà il tuo modo di essere genitore

Guardare i propri figli crescere è un privilegio straordinario, eppure può trasformarsi in un’esperienza dolorosa quando quella manina che cercava costantemente la nostra inizia a lasciare la presa. Molte madri attraversano questa fase con un senso di smarrimento profondo, come se stessero perdendo una parte essenziale di sé stesse. In psicologia dello sviluppo diversi autori parlano di lutti evolutivi o lutti normativi per descrivere il vissuto di perdita connesso al passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita. Riconoscere questo vissuto come parte del percorso evolutivo, e non come un segnale di cattiva maternità, è il primo passo per attraversarlo senza che danneggi il rapporto con i nostri figli.

Quando l’autonomia dei figli si scontra con il nostro bisogno di essere necessarie

Il problema non risiede nell’amore che proviamo, ma nel modo in cui abbiamo costruito la nostra identità materna. Se per anni il nostro valore personale si è nutrito principalmente del bisogno che i bambini avevano di noi, la loro crescente indipendenza può essere vissuta come un rifiuto personale. La psicoterapeuta americana Susan Forward ha descritto come alcune madri possano entrare in dinamiche relazionali disfunzionali quando usano i figli per colmare bisogni emotivi propri, con rischio di colpa, manipolazione o ricatti affettivi, se questi non vengono riconosciuti e elaborati consapevolmente.

I bambini che iniziano a gestire autonomamente piccole frustrazioni, che preferiscono giocare da soli o che si consolano senza cercarci, non stanno allontanandosi affettivamente: stanno diventando individui più competenti. La loro capacità di regolarsi aumenta con la maturazione di sistemi cerebrali che coinvolgono, tra le altre strutture, la corteccia prefrontale, fondamentale per le funzioni esecutive e l’autoregolazione emotiva. Questo è esattamente ciò che dovrebbe accadere: un aumento graduale dell’autonomia emotiva e comportamentale, sostenuto da una relazione di base sicura.

Il paradosso dell’attaccamento sicuro: allontanarsi per restare vicini

Gli studi sulla teoria dell’attaccamento condotti da John Bowlby e sviluppati empiricamente da Mary Ainsworth hanno mostrato qualcosa di apparentemente controintuitivo: i bambini con attaccamento sicuro sono proprio quelli che esplorano l’ambiente con maggiore autonomia, perché sanno di poter contare su una base sicura a cui tornare in caso di bisogno. Nei suoi studi con la procedura della Strange Situation, Ainsworth ha osservato che i bambini sicuri usano il caregiver come base da cui allontanarsi per esplorare, e alla quale tornare per conforto.

Cercare di trattenere i figli vicini principalmente per placare la nostra ansia può, nel lungo periodo, interferire con lo sviluppo di un attaccamento veramente sicuro e con la capacità del bambino di esplorare e separarsi in modo fiducioso. Quando una madre comunica, anche in modo sottile, la propria tristezza o vulnerabilità di fronte all’autonomia crescente del figlio, il bambino può sviluppare sentimenti di colpa e un conflitto interno tra il bisogno di separarsi e il desiderio di proteggere il genitore.

I bambini sono molto sensibili agli stati emotivi dei genitori e possono sviluppare strategie contraddittorie quando la figura di attaccamento è, al tempo stesso, fonte di sicurezza e di disagio. La ricerca sull’attaccamento ha evidenziato come i bambini interiorizzino le esperienze emotive con i genitori e possano sviluppare rappresentazioni conflittuali quando percepiscono disagio o incoerenza nel caregiver. I bambini percepiscono precocemente quando il loro benessere naturale, la loro autonomia, sembra far soffrire il genitore, e questo può contribuire a conflitti interni dannosi per lo sviluppo.

Riconoscere i segnali di un attaccamento che sta diventando problematico

È importante fare un’analisi onesta del proprio comportamento. Questi segnali meritano attenzione:

  • Sentirsi sollevate quando il bambino torna a cercarci dopo essere stato autonomo
  • Provare un’emozione negativa quando il bambino risolve un problema senza il nostro aiuto
  • Enfatizzare situazioni in cui il bambino ha ancora bisogno della mamma
  • Evitare di promuovere attivamente l’autonomia perché temiamo di perdere il sentirci necessarie
  • Interpretare ogni momento di indipendenza come un segnale di distacco affettivo

La ricerca mostra che il distress genitoriale e le difficoltà nel lasciare spazio all’autonomia possono associarsi a una minore sicurezza di attaccamento nel bambino e a maggiori problemi emotivi e comportamentali.

Ridefinire il ruolo materno oltre il bisogno primario

La maternità attraversa stagioni diverse, ciascuna con la propria bellezza e complessità. Il ruolo di una madre non diminuisce quando i figli crescono: si evolve. Passiamo dall’essere indispensabili per la sopravvivenza fisica a diventare guide per la crescita emotiva, modelli di resilienza, custodi della memoria familiare e testimoni della loro trasformazione. Questo passaggio è in linea con i modelli sul ciclo di vita familiare, che descrivono compiti evolutivi diversi per le famiglie con bambini piccoli, preadolescenti, adolescenti e giovani adulti.

La psicoterapeuta italiana Alessandra Bortolotti ha scritto sul tema della maternità consapevole, dell’attaccamento e del rispetto dei bisogni del bambino nei primi anni di vita. Nei suoi lavori divulgativi sottolinea come una madre che riesce a sostenere l’autonomia del figlio senza viverla come minaccia favorisca relazioni familiari più armoniose nel tempo. Questa visione è coerente con la letteratura sull’attaccamento sicuro e sullo sviluppo dell’autonomia.

Studi longitudinali mostrano che una genitorialità capace di bilanciare protezione e promozione dell’autonomia è associata a migliori esiti relazionali e di adattamento in adolescenza e in età adulta. Non si tratta di negare la nostalgia per la fase precedente, ma di non permettere che questa nostalgia condizioni il presente e il modo in cui rispondiamo ai bisogni reali del bambino.

Strategie concrete per trasformare l’ansia in presenza consapevole

Investire nella propria identità personale: Molte madri scoprono con sorpresa di aver messo in pausa sogni, passioni e relazioni durante i primi anni di maternità intensiva. La ricerca sulla salute mentale dei genitori indica che un maggior senso di autoefficacia e di realizzazione personale si associa a minori livelli di stress e sintomi depressivi, e a una migliore qualità delle interazioni con i figli. Recuperare questi spazi non significa amare meno i figli, ma offrire loro il modello di una persona completa e sufficientemente soddisfatta di sé.

Cambiare la qualità dell’interazione: Non è la pura quantità di tempo a determinare la qualità del legame, ma il modo in cui siamo presenti. Gli studi sull’attaccamento e sulla sensibilità genitoriale sottolineano l’importanza di interazioni brevi ma sintonizzate, in cui il bambino si sente visto e compreso. Un rituale di connessione autentica, come una conversazione di dieci minuti prima di dormire in cui si accolgono emozioni e pensieri, può avere un impatto più profondo di molte ore vissute in uno stato di ansia o di ipercontrollo.

Celebrare le conquiste di autonomia: Ogni volta che un figlio raggiunge un traguardo di indipendenza possiamo scegliere consapevolmente di leggerlo come un successo condiviso anziché come una perdita personale. Questo rientra in ciò che, in terapia cognitivo-comportamentale, viene definito riattribuzione cognitiva: cambiare il significato attribuito a un evento per modificarne l’impatto emotivo. Intervenire sui pensieri automatici e sulle interpretazioni è centrale nel modificare le reazioni emotive e i comportamenti disfunzionali.

Qual è il tuo più grande ostacolo nel lasciare andare i figli?
Mi sento meno necessaria
Temo stiano dimenticando me
La mia identità era solo mamma
Celebro ogni loro conquista
Ho paura di essere sostituita

Il legame non si misura nella dipendenza

Un figlio che a tre anni si consola da solo dopo una piccola caduta, che a cinque preferisce giocare autonomamente per un’ora, che a sette prova a risolvere un conflitto con i compagni senza il nostro intervento, non ci sta dimenticando. Sta dimostrando che la nostra funzione di base sicura e di regolatore esterno ha iniziato a essere interiorizzata.

Il Minnesota Longitudinal Study of Risk and Adaptation ha seguito bambini dalla nascita fino all’età adulta, mostrando che un attaccamento sicuro nella prima infanzia, sostenuto da cure sensibili e da una graduale promozione dell’autonomia, è associato a migliore regolazione emotiva, maggior competenza sociale e relazioni intime più soddisfacenti in adolescenza e in età adulta. Gli adulti più equilibrati e capaci di relazioni intime soddisfacenti erano spesso quelli che, da bambini, avevano sperimentato una madre sensibile e in grado di offrire una base sicura da cui esplorare il mondo e costruire gradualmente la propria autonomia.

I nostri figli porteranno con sé per tutta la vita non il conteggio di quante volte li abbiamo fisicamente consolati, ma la sensazione di essere stati visti, accettati e incoraggiati a diventare se stessi. Le ricerche sull’attaccamento adulto mostrano che ciò che conta sono le rappresentazioni interne di essere stati degni di amore e di aver avuto figure affidabili, più che la sola presenza fisica. Questa eredità emotiva si costruisce proprio permettendo loro di allontanarsi, sapendo che il filo invisibile che ci lega non si spezza con la distanza fisica o con l’autonomia emotiva, ma può anzi rafforzarsi nella fiducia reciproca e nel rispetto della crescita di ciascuno.

Lascia un commento