Tuo figlio ha 30 anni e vive ancora con te: il vero motivo non è quello economico e questa psicologa spiega cosa sta accadendo

Quando l’amore materno si trasforma in una rete invisibile che trattiene invece di sostenere, ci troviamo di fronte a una delle sfide relazionali più complesse e meno discusse della genitorialità moderna. Molte madri, animate dalle migliori intenzioni, finiscono per creare un legame che ostacola proprio ciò che dovrebbe promuovere: l’indipendenza dei propri figli ormai adulti.

Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e i dati Eurostat, in Italia una quota molto elevata di giovani adulti continuano a vivere con i genitori ben oltre i 25 anni. Negli ultimi anni la percentuale per la fascia 25-34 anni si è attestata stabilmente sopra il 60%, collocando l’Italia tra i paesi europei con i valori più alti. Dietro questi numeri non si nascondono solo difficoltà economiche oggettive come mercato del lavoro precario, salari bassi e caro-affitti, ma anche dinamiche relazionali caratterizzate da forte dipendenza intergenerazionale e scarsa differenziazione emotiva tra genitori e figli adulti.

Quando il sostegno diventa sabotaggio inconsapevole

La difficoltà a stabilire confini chiari non nasce da cattiveria o superficialità. Al contrario, emerge da un’interpretazione distorta del ruolo materno che identifica l’essere una “buona madre” con l’essere sempre disponibile, sempre presente, sempre risolutiva. Questa visione trasforma la genitorialità in una performance infinita dove dire “no” viene percepito come un fallimento personale.

Il problema si manifesta in comportamenti quotidiani apparentemente innocui: continuare a fare il bucato a un figlio trentenne, gestire le sue pratiche burocratiche, intervenire economicamente a ogni minima difficoltà senza che ci sia una reale emergenza. In letteratura questi pattern vengono descritti come forme di iperprotezione, associate a minore autonomia e minore autoefficacia percepita nei figli adulti. Quello che spesso manca è la consapevolezza che ogni gesto di questo tipo sottrae un’opportunità di crescita e rinforza un messaggio implicito: “non sei capace senza di me”. La possibilità di sperimentare, sbagliare e risolvere problemi in prima persona risulta cruciale per lo sviluppo di competenze e fiducia nelle proprie capacità.

Le radici psicologiche della permissività eccessiva

Comprendere le motivazioni profonde che alimentano questo schema relazionale è fondamentale per spezzarlo. Il bisogno di essere necessarie rappresenta una delle spinte più potenti: quando l’identità materna diventa l’unica identità riconosciuta, l’autonomia dei figli rappresenta una minaccia esistenziale. Questo tipo di fusione identitaria tra madre e figlio è caratteristico delle famiglie invischianti, dove i confini generazionali sono poco chiari.

La paura dell’abbandono emotivo gioca un ruolo altrettanto determinante. Mantenere i figli dipendenti garantisce la loro presenza fisica e, almeno in apparenza, anche quella affettiva. La paura dell’abbandono può portare a comportamenti ipercoinvolti e controllanti, che ostacolano la separazione dei figli. Compensare errori passati, reali o percepiti, attraverso una disponibilità illimitata nel presente genera sensi di colpa irrisolti che alimentano il circolo vizioso. Il senso di colpa può portare a una maggiore indulgenza e a difficoltà nel porre limiti, con effetti negativi sulla regolazione del comportamento nei figli.

Non vanno trascurate nemmeno le difficoltà nella coppia: riempire vuoti relazionali con il partner investendo energie eccessive sui figli. Nei modelli sistemici questo fenomeno viene descritto come triangolazione, in cui il figlio viene coinvolto per stabilizzare tensioni coniugali, con conseguente sovraccarico emotivo e riduzione della sua autonomia.

La psicoterapeuta e divulgatrice italiana Gianna Schelotto ha spesso descritto, nei suoi saggi e interventi, la figura degli “adulti bambini” che faticano ad assumersi responsabilità e tendono a delegare scelte e compiti, sottolineando come stili genitoriali iperprotettivi possano contribuire al mantenimento di una condizione di dipendenza affettiva e pratica in età adulta.

Il costo nascosto della dipendenza prolungata

Le conseguenze di questa assenza di confini si estendono ben oltre la semplice convivenza prolungata. I giovani adulti intrappolati in questa rete sviluppano spesso una marcata fragilità identitaria, con difficoltà a rispondere alla domanda “chi sono io?” separatamente dai desideri e aspettative materne. L’identità rimane più vulnerabile e dipendente dal contesto familiare quando i processi di separazione non vengono sostenuti. L’eccessiva dipendenza dai genitori è associata a minore esplorazione autonoma e maggiore livello di distress psicologico.

Si manifestano inoltre significative difficoltà nell’assunzione di responsabilità, accompagnate dalla convinzione profonda di non possedere le capacità necessarie per affrontare la vita autonomamente. L’esposizione ripetuta a situazioni in cui altri intervengono o in cui non si sperimenta il proprio effetto sulle conseguenze riduce la motivazione ad agire e la percezione di controllo. L’eccesso di sostituzione genitoriale nei compiti quotidiani ostacola lo sviluppo di autoefficacia.

Anche le relazioni sentimentali ne risentono profondamente. I partner si trovano spesso a competere con una figura materna onnipresente, o vengono scelti proprio come sostituti genitoriali, replicando dinamiche infantili anziché costruire rapporti paritari. Un forte invischiamento con la famiglia d’origine è associato a maggior conflittualità di coppia, dipendenza emotiva e difficoltà a stabilire confini sani con il partner.

Riconoscere i segnali: quando l’aiuto è troppo

Distinguere tra supporto sano e dipendenza indotta richiede onestà intellettuale. Intervenire economicamente senza accordi chiari su restituzione o contropartite rappresenta un primo campanello d’allarme: il sostegno economico non regolato può ritardare l’assunzione di ruoli adulti e l’indipendenza abitativa. Risolvere problemi pratici che il figlio potrebbe gestire autonomamente riduce le occasioni di apprendimento di competenze di vita quotidiana.

Sentirsi ansiose o irritate quando i figli prendono decisioni senza consultarvi segnala una difficoltà a tollerare la loro individuazione. Giustificare sistematicamente i loro fallimenti o mancanze di impegno, anziché favorire l’assunzione di responsabilità, contribuisce a mantenere schemi disfunzionali. Provare un senso di vuoto nei momenti in cui i figli non hanno bisogno di voi indica che una parte consistente dell’identità e del benessere personale è legata esclusivamente al ruolo materno.

Costruire confini che liberano

Stabilire limiti sani non significa ritirare l’affetto o abbandonare i propri figli. Significa piuttosto ridefinire il ruolo materno in una fase dove la cura si esprime attraverso la fiducia nelle loro capacità. I modelli di genitorialità autorevole, caratterizzati da alto calore affettivo e limiti chiari, favoriscono migliore autonomia, competenza e benessere nei figli, rispetto agli stili iperpermissivi o ipercontrollanti.

A che età sei diventato davvero autonomo dai tuoi genitori?
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Non lo sono ancora

Comunicare aspettative chiare risulta fondamentale: definire insieme regole condivise sulla gestione domestica, contributi economici e tempi di permanenza in casa. La chiarezza delle regole riduce conflitti e ambiguità di ruolo. Tollerare il disagio significa accettare che vostro figlio possa attraversare difficoltà, commettere errori, persino fallire in alcuni tentativi. L’esposizione graduata a frustrazione e problemi, in un contesto di supporto emotivo ma non sostitutivo, è fondamentale per costruire capacità di affrontare le difficoltà in modo efficace.

Ridistribuire le energie investendo tempo e attenzione nel recupero di interessi personali, nella relazione di coppia, in amicizie rappresenta un passo essenziale. Il benessere psicologico del genitore è un fattore protettivo sia per lui o lei sia per i figli. Lavorare sul benessere del genitore migliora anche il clima familiare e l’autonomia dei figli. Quando le dinamiche sono particolarmente radicate, il supporto di un terapeuta familiare può facilitare una transizione che altrimenti genera conflitti paralizzanti.

Il paradosso della libertà

Ricerche pubblicate su riviste scientifiche internazionali mostrano che i giovani adulti che mantengono legami familiari caratterizzati da calore affettivo ma chiari confini funzionali riportano livelli più elevati di benessere psicologico e migliori esiti di autonomia rispetto a quelli inseriti in relazioni invischianti o, all’opposto, distaccate. La separazione riuscita, in presenza di un attaccamento sicuro ai genitori, è associata a maggior soddisfazione di vita e minori sintomi depressivi nei giovani adulti.

Imparare a dire “no” o “questo lo devi gestire tu” non vi renderà madri meno amorevoli. Vi trasformerà in madri più efficaci, capaci di preparare i vostri figli alla vita reale piuttosto che a una versione edulcorata dove qualcuno risolve sempre i problemi al posto loro. Il sostegno che incoraggia l’autonomia, più che la sostituzione nelle responsabilità, è associato a migliori esiti di salute mentale, soddisfazione di vita e realizzazione personale. Il vero atto d’amore materno, in questa fase, è accettare di diventare progressivamente meno indispensabili, celebrando ogni passo verso l’autonomia come il successo che realmente rappresenta.

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